Il paradosso delle leggi di Bilancio del governo Meloni

Sono presentate in Parlamento in anticipo rispetto al passato, ma questo non si traduce in un maggior coinvolgimento dei parlamentari
ANSA/ANGELO CARCONI
ANSA/ANGELO CARCONI
Martedì 16 dicembre, nel tardo pomeriggio, la Commissione Bilancio del Senato ha iniziato a votare gli emendamenti al disegno di legge di Bilancio per il 2026, quasi due mesi dopo la presentazione del testo in Parlamento. Lo stesso giorno il governo ha avanzato ulteriori proposte per modificare la manovra finanziaria, che ora dovranno essere approvate in commissione. Il testo passerà poi all’aula del Senato, dove il voto finale è atteso per lunedì 22 dicembre, ed entro la fine dell’anno ci sarà l’approvazione definitiva della Camera, che di fatto voterà il testo senza poterlo modificare.

Questo scenario non è nuovo, ma con il governo Meloni ha assunto un carattere ancora più paradossale, perché negli ultimi tre anni la legge di Bilancio è stata presentata in Parlamento con maggiore anticipo (o meglio, con minore ritardo) rispetto ai governi precedenti, senza che questo si sia tradotto in tempi più distesi o in un reale spazio di discussione e modifica del testo da parte del Parlamento.

Il disegno di legge di Bilancio per il 2026 è stato presentato in Senato il 22 ottobre, con soli due giorni di ritardo rispetto alla scadenza del 20 ottobre, fissata dalla legge. L’anno scorso il ritardo era stato di tre giorni, mentre in quello ancora prima di dieci. Come mostra il grafico, da questo punto di vista il governo Meloni sta facendo meglio dei suoi predecessori (escludiamo la legge di Bilancio per il 2023, presentata nel 2022 con grande ritardo perché il governo si era insediato soltanto alla fine di ottobre).
Ci si potrebbe quindi aspettare che una presentazione meno tardiva della manovra lasci più tempo al Parlamento per esaminarla, discutere gli emendamenti e intervenire sul testo, anche in modo significativo, in entrambe le camere. In realtà, come mostrano i dati sui tempi di approvazione delle leggi di Bilancio degli ultimi anni, questo anticipo non ha portato né a un rafforzamento del dibattito parlamentare né a un iter più equilibrato tra Senato e Camera, che continuano ad avere margini molto limitati di modifica del provvedimento.

Il disegno di legge di Bilancio per il 2024 è stato approvato definitivamente dopo 61 giorni dalla sua presentazione in Parlamento, di cui 54 trascorsi nella prima camera che lo ha esaminato. Per quanto riguarda il disegno di legge di Bilancio per il 2025, tra la presentazione in Parlamento e l’approvazione definitiva sono trascorsi 67 giorni, di cui 59 nella prima camera. Nel primo caso sono trascorsi otto giorni nella seconda camera, nel secondo nove, e in entrambi i casi a cavallo delle vacanze di Natale. In concreto, la seconda camera si è limitata a ratificare il testo approvato dalla prima, votandolo di fatto a scatola chiusa, senza tempi né margini per un esame sostanziale o per introdurre modifiche.

Lo stesso accadrà quest’anno. Da quando la manovra per il 2026 – quella attualmente all’esame della Commissione Bilancio del Senato – è stata presentata in Parlamento, sono trascorsi 57 giorni. Se sarà approvata dall’aula il 22 dicembre, ne saranno passati 62, per poi passare alla Camera, dove il voto finale arriverà tra Natale e Capodanno.

Come mostra il grafico, durante il governo Meloni si sono registrati da un lato gli intervalli di tempo più lunghi tra la presentazione in Parlamento e l’approvazione nella prima camera, e dall’altro lato quelli più brevi tra l’approvazione nella prima camera e quella definitiva, a conferma di un iter sempre più sbilanciato a favore della camera di prima lettura e di un ruolo della seconda camera ridotto a una sostanziale ratifica del testo.
La legge di Bilancio per il 2019 – approvata dal primo governo Conte – è stata l’ultima approvata dopo essere stata modificata da entrambe le camere. Negli anni si è affermata sempre di più la prassi nota come “monocameralismo alternato”, in cui una sola camera svolge l’esame sostanziale del provvedimento mentre l’altra si limita a ratificarlo, un fenomeno che nel tempo è diventato sempre più frequente anche a causa del ricorso continuo ai decreti-legge. 
Ma perché il governo Meloni, nonostante goda di un’ampia maggioranza sia alla Camera sia al Senato, è finito per replicare questo schema? Le ragioni principali di questo comportamento sono almeno tre. 

La prima è una scelta politica: il governo vuole mantenere un controllo molto stretto sul disegno di legge di Bilancio, limitando al minimo le modifiche parlamentari per evitare divisioni tra i partiti della maggioranza e sorprese sul contenuto finale del testo. Per questo, dopo gli emendamenti dei parlamentari, il governo stesso spesso presenta uno o più “maxiemendamenti” alla legge di Bilancio, facendo approvare quello in aula.
La seconda ragione è il peso dei vincoli esterni, in particolare quelli di finanza pubblica, che spingono il governo a chiudere la presentazione della legge di Bilancio il più rapidamente possibile per rassicurare mercati e istituzioni europee. 

La terza riguarda una prassi ormai consolidata negli ultimi anni – come detto, rafforzata dal ricorso frequente ai decreti-legge – che ha progressivamente svuotato il ruolo del Parlamento e reso “normale” un esame concentrato in una sola camera, indipendentemente dal colore politico del governo in carica.
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